domenica, ottobre 11, 2015

Nativi Digitali Blogtour, Primo capitolo in anteprima del sequel del romanzo “Storie di un Viaggiatore immortale”, in offerta a -50% fino al 15/10/2015!

Buon giorno, bloggers e lettori! So che è da tanto che non ci sentiamo, ma ultimamente l'università mi sta assorbendo completamente e temo che sarà così fino a settembre del prossimo anno, quando darò l'ultimo dei sei esami che devo dare quest'anno. Oggi vi presento il primo capitolo in anteprima del sequel del romanzo "Storie di un Viaggiatore immortale", buona lettura!

 Primo capitolo in anteprima del sequel del romanzo “Storie di un Viaggiatore immortale”, in offerta a -50% fino al 15/10/2015!

 

Capitolo I

Rassegnazione

Sento le forze abbandonarmi. La vita scorrere lontano da me. Ogni parola che appare sullo schermo è una stilla di forza sparita. Ogni lettera, ogni virgola, ogni punto. Ci ho messo un po’ ad abituarmi alla tastiera del computer, ma adesso procedo spedito. A brevi balzi, costanti, le pause più per riposare le dita che per riflettere su ciò che sto scrivendo.
Una storia. Tante storie. Per ciascuna, un po’ di vita mi abbandona.

Sto sperimentando, per la prima volta nel corso della mia esistenza, un periodo di rassegnazione. Placida, statica, eterna come una bonaccia nel Pacifico. Terrificante, nel profondo, come l’assalto di un esercito, o lo scoppio di una bomba. Ma la superficie rimane immobile, una maschera di calma immutabile. Imperforabile.
È questo che mi spinge a scrivere. Il bisogno di lasciarmi andare. Galleggiare in quel mare senza vento. Affondando lentamente poco a poco.
Lettera dopo lettera.
Parola dopo parola.
Storia dopo storia.
Perché, per la prima volta nel corso della mia lunga, lunghissima vita, ho perso il mio perché.
Perché vivo?
Non so più rispondere.
Sto tentando, seriamente tentando di lasciarmi andare. Di buttare fuori tutto, fino all’ultima oncia di energia, fino all’ultima storia che ho in corpo. Il mio volto, riflesso sul vetro della finestra, è vecchio e rugoso, decrepito, malandato. Le mie mani, quando non battono sulla tastiera, tremano insicure, le mie dita nodose racchiudono un coacervo di dolore.
Manca poco, ormai. Manca poco. Qualche altra storia, qualche altra parola, qualche altra lettera ancora. Lo voglio, disperatamente lo voglio, eppure ecco che le mie dita si fermano. Non riesco più a scrivere. La mia mente è vuota, di colpo.
Non è la paura, a fermarmi. Non ne provo. Sul serio. Anzi, la curiosità per il passo successivo, per la morte che mi ha sempre sfiorato senza mai finalmente cogliermi, quella curiosità vorrebbe che io ricominciassi a battere. Tasto dopo tasto. Parola dopo parola. Ma le mie dita non si muovono.
Non sono i rimpianti, a trattenermi. Tantomeno gli affetti. Non ne ho, né gli uni né gli altri.
Ho accettato da tempo il mio destino.
È altro. Un bisogno sempre vivo in me. Non mi ero mai spinto così lontano, così vicino al traguardo, ma il bisogno adesso è forte. Troppo forte.

Spingo con le gambe, cercando di tirare indietro la sedia, ma fallisco. Dannate ruote sgonfie. Maledetta debolezza nei miei arti. Non riesco a sollevarmi, e qualora ci riuscissi i miei piedi non mi sosterrebbero. Così mi lascio cadere. Di fianco, pesantemente, e la sedia cade al suolo con un fragore metallico, scaraventandomi sul pavimento. Riverso sul parquet, a pancia all’aria, il mio respiro affannoso e pesante, un dolore acute laddove il bacino ha colpito il legno. Una ruota della carrozzina gira su se stessa, all’interno del mio campo visivo, per poi lentamente fermarsi.
Mi agito per qualche secondo – devo sembrare una tartaruga capovolta – ma riesco finalmente a sentire il pavimento contro il viso. Sono riuscito a girarmi, a dispetto di un male all’anca che si fa sempre più forte. Allungo faticosamente un braccio, afferrandomi a una gamba del letto. Poi l’altro, facendo leva con il gomito per trascinarmi in avanti. Mi ricorda le trincee, in qualche assurdo modo. Lì c’era il sangue, il fango, il dolore, qui solo un assurdo, inarrestabile bisogno.
Mi trascino fino alla più vicina libreria, afferro il primo libro a portata di mano. Non importa che io l’abbia già letto o meno, per adesso basterà. Per guarire, per recuperare un po’ di forze. Ringiovanire qualche anno.
Stare meglio.
Vivere ancora.

Il libro che mi trovo tra le mani è il Silmarillion, di J. R. R. Tolkien. L’ho già letto quando è uscito per la prima volta, in Inghilterra, nel ‘77. 1977. Quasi quarant’anni fa!
Una raccolta di leggende, mitologie partorite da una mente florida e geniale. Il Canto di Ilúvatar. La lotta di Fëanor. L’Avvento degli Uomini. La guerra di Fingolfin. L’amore di Beren e Lúthien. Il Dono di Eru. L’avevo quasi saltata, questa parte, la prima volta che l’ho letto. Di certo non me la ricordavo affatto.
Rispecchia un pensiero che ho accarezzato spesso, di recente.
La mortalità come dono, da accogliere con gratitudine.
La vita come un sogno, da cui svegliarsi in pace.
La fine come gioia.

La mia condizione, al contrario, è una condanna.
Perché per quanto io veda, per quanto io viva, per quanto io ne scriva, non c’è fine, per me. L’immortalità mi affligge, mi brucia senza consumarmi mai. Mi costringe a guardare dalla riva di un fiume la storia che scorre, eventi e persone che fuggono rapide, troppo presto al di fuori della mia portata, troppo velocemente celate al mio sguardo.
Perché l’età non ha significato per me. Perché non c’è ferita in grado di uccidermi, né malattia che mi degni di un’occhiata. Perché da quando sono nato, quasi settecento anni fa, il tempo è qualcosa che non mi riguarda.
Vivo di storie, io. Finché ne leggo mi mantengo giovane. In loro assenza mi faccio debole, ma niente più. E quando ne invento, le scrivo, le racconto, allora invecchio, senza fine, senza sosta, ed il bisogno cresce. Poi prendo un libro, ed il mio ciclo ricomincia.
Come adesso, mentre poggio il Silmarillion in terra e agguanto il libro accanto. Non ne guardo neanche il titolo, lo apro e comincio a leggere. Leggerò fino a quando le mie mani non saranno nuovamente lisce, e la mia barba nuovamente scura. Fino a quando guardandomi allo specchio non ritroverò il giovane che sono stato. Che sono stato e che sarò di nuovo.
Fino a quando non scorgerò il volto che per primo è stato il mio.

Il volto di Tristan Garden.

TAPPE DEL BLOGTOUR 
DataBlog OspiteContenuto Originale



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